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LA CORTE DEI CONTI HA LA MEMORIA CORTA

Su “il fatto quotidiano” del 29 Novembre 2014 è apparso un articolo di Marco Lillo dal titolo “8 per mille, Corte dei Conti:  Modello spagnolo? Risparmieremmo 600 milioni” Andando a leggere il dettaglio si scopre che la Corte dei Conti, con una ponderosa relazione depositata il 19 Novembre, avrebbe concluso che i soldi concessi, mediante il meccanismo dell’8 per mille alla Chiesa cattolica e alle altre religioni sono troppi. A me pare che, almeno per quel che riguarda la Chiesa Cattolica, la Corte dei Conti abbia la memoria corta. La Corte si dimentica, infatti, che questa legge dell’ 8 per mille (legge 20 maggio 1985 n. 222) nata dai nuovi Accordi Concordatari tra lo Stato Italiano e la Chiesa Cattolica, ha abrogato quanto precedentemente stabilito dal Concordato del 1929 (c. d. Patti Lateranensi) e cioè l’ erogazione da parte dello stato dei “supplementi di congrua” una sorta di stipendio che lo stato italiano riconosceva ai parroci per parzialmente compensare il vero e proprio furto di beni ecclesiastici avvenuto nella seconda metà del 1800 con quella che comunemente viene chiamata la “legislazione eversiva dell’asse ecclesiastico”, iniziata in sordina con le leggi Siccardi e poi proseguita con il regio decreto 3036 del 7 luglio 1866 di soppressione degli Ordini e delle Corporazioni religiose (in esecuzione della Legge del 28 giugno 1866, n° 2987), e la legge 3848 del 15 agosto 1867  per la liquidazione dell’Asse ecclesiastico. Una parte di questo immenso patrimonio sottratto alla Chiesa Cattolica italiana con queste  leggi arbitrarie che violavano apertamente precedenti accordi internazionali e più ancora il diritto alla proprietà privata,  è oggi ancora detenuto dallo stato e amministrato dal Ministero dell’ interno italiano attraverso in Fondo Edifici di Culto. Tanto per avere un’ idea il Fondo, oltre ad essere proprietario di 750 Chiese fra le più belle e antiche del mondo (per esempio: Santa Croce, Santa Maria Novella e San Marco a Firenze; Santa Maria in Aracoeli, Santa Maria del Popolo, Sant’Andrea delle Fratte, Santa Maria della Vittoria, Sant’Ignazio, Santa Francesca Romana, Santa Maria sopra Minerva, Sant’Andrea della Valle e la Basilica dei Santi Giovanni e Paolo al Celio a Roma; Santa Chiara con l’annesso monastero, San Domenico Maggiore e San Gregorio Armeno a Napoli; la Chiesa del Gesù – Casa Professa e Santa Maria dell’Ammiraglio o della Martorana a Palermo) è anche divenuto proprietario, sempre in base alle suddette leggi, di innumerevoli opere d’arte e di arredi di pertinenza degli edifici sacri, che costituiscono spesso splendidi esempi di artigianato artistico orafo, ligneo e tessile. Inoltre lo stato italiano ha inglobato, con lo stesso sistema, numerose opere di Michelangelo, Guido Reni, Paolo Veneziano, Caravaggio, Bernini, nonché numerosi beni di altra natura, dagli immobili di origine ecclesiastica con interesse storico artistico, agli immobili propriamente fruttiferi, come ad esempio vastissime aree forestali o preziosissimi terreni già inglobati nel demanio e venduti, nel tempo, a caro prezzo a privati tramite asta pubblica. Probabilmente se si facessero bene i conti di quanto lo stato italiano ha illegittimamente espropriato (con relative rendite mai più percepite nel tempo alla Chiesa Cattolica) e quanto lo stato italiano ha dato fino ad ora sarebbe la Chiesa Cattolica ad essere fortemente creditrice. Si pensi soltanto al fatto che per esempio a Torino uno dei terreni espropriati e passati al demanio è la centralissima ed elegante via Pietro Micca che si diparte da piazza Castello e arriva fino alla cittadella. Quei terreni costituivano solo una parte della, espropriata, tenuta agricola della parrocchia di San Tommaso, tenuta che proseguiva nelle attuali strade limitrofe. Ora chiunque può capire come sia assurdo ritenere di aver pagato un simile bene con un ridicolo supplemento di congrua attribuito al parroco, supplemento che oggi potrebbe essere calcolato come pari a circa mille duecento euro al mese (secondo quanto stabilito dai patti lateranensi). Se si pensa che la scelta dell’ otto per mille è stata voluta fortemente da Craxi per pagare di meno rispetto ai supplementi di congrua si capisce come qualunque lamentela dello stato in questo senso sia a dir poco assurda.